26 Ottobre 2020

Covid, l’appello di Federcalcio e Lega al Governo: “In Serie A si rischia il default”. Ma la crisi è ancora più ampia

Il DPCM di ieri ha ripristinato le partite a porte chiuse dopo l'apertura ai 1000 di inizio stagione

Il dietrofront rispetto all’aperturina dei 1.000 spettatori negli stadi dei campionati professionistici – stadi, ieri, di nuovo definitivamente chiusi per decreto – è solamente un’infinitesima parte degli argomenti che andrebbero estratti a sorte, tra i tanti possibili sul crinale dello scontro tra calcio e Governo causa pandemia: uno scontro che, a dire il vero, va in scena dallo scorso mese di marzo, e che ora si appresta a essere rinnovato con una seconda ondata di strali in corrispondenza della seconda ondata di contagi. I quali – ormai è arcinoto – in sé e per sé non vogliono dire nulla, e comunque c’è da dubitare che i mille spettatori ammessi allo stadio sino a ieri possano essere additati di essere i principali responsabili del ri-aumento dei casi di Covid in Italia.

In ogni caso: La Gazzetta dello Sport, oggi, riporta di come i presidenti rispettivamente di FIGC e Lega Serie A, Gabriele Gravina e Paolo Dal Pino, abbiano scritto due lettere distinte, entrambe indirizzate al Governo, nelle persone del Presidente Conte e dei Ministri Speranza (Salute), Spadafora (Sport) e Gualtieri (Economia), e il l’oggetto di queste lettere è lapalissiano, ma va riportato per dovere di cronaca: l’oggetto è, in brutale sintesi, che il calcio italiano rischia di morire, rischia il crac generalizzato come, di questi tempi, lo rischiano anche altri svariati settori dell’economia del Paese.

Gravina e Dal Pino scrivono come – stando a varie stime effettuate da più parti – il calcio italiano si aspetti di perdere 600 milioni nel periodo marzo 2020-giugno 2021, e il motivo, anche qui, è strachiaro ormai a chiunque: tra il primo lockdown e quella che potrebbe rivelarsi una seconda serrata (o lockdown mascherato, suggerisce qualcuno), l’economia è rimasta stagnante al grado zero del suo sviluppo (ossimoro): meno introiti, meno spese, meno sponsorizzazioni, meno calciomercato, meno tutto. Quello di Gravina e Dal Pino è un grido d’allarme che porterà inevitabilmente i riflettori anche su quella che sarà la replica del Ministro dello Sport Spadafora, che – dettaglio in cronaca – l’altra sera da Fabio Fazio pareva essere sul piede di guerra nei confronti delle stesse istituzioni che ora gli chiedono aiuto, per il mancato rispetto dei protocolli e di non meglio specificate “bolle” evocate da Spadafora nel medesimo intervento.

Questo, in ogni caso, solo per quanto riguarda il calcio italiano d’élite. Perché, poi, ci sarebbe anche da andare a spulciare il calcio di provincia, quello dei campetti di polvere e fango che – bene o male – esistono, e rappresentano un’altra realtà del calcio e dell’economia italiana. Il calcio dilettantistico, a oggi, è sospeso del tutto, dopo che inizialmente avevano subito uno stop solo la Terza Categoria e in alcune regioni la Seconda Categoria: decisioni, tra l’altro, accompagnate – ancora una volta – dalla scadente comunicazione di Palazzo Chigi, incluso il bailamme terminologico per definire se una certa categoria fosse “amatoriale” o “dilettantistica”: lo stop ai Dilettanti – è evidente a tutti – insieme alle restrizioni imposte a quello professionistico, contribuirà a creare nuove voragini nell’economia del calcio e del Paese, ma da Roma preferiscono tenere tutto chiuso perché, evidentemente, il grande pericolo sanitario è oggi rappresentato da ventidue under-40 che corrono su un campo di pallone.

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