4 Aprile 2013

FOCUS – Alvarez: un uomo, un perché

di Giorgio Crico.

Ricardo Alvarez, un nome il cui ascolto provoca reazioni diversissime, sia che venga interpellato un interista medio, un giornalista sportivo o, banalmente, l’uomo della strada dal non meglio specificato credo calcistico che s?interessa di pallone.

Alvarez divide perché, se da un lato alcune qualità tecniche e, soprattutto, tutte quelle umane non sono affatto in discussione (ci mancherebbe), lo è invece moltissimo il suo rendimento: a una fazione (ultimamente molto ridotta) di suoi estimatori si contrappone infatti una netta maggioranza di oppositori che non vogliono vedere Ricky Maravilla nemmeno in fotografia, figuriamoci sul rettangolo di gioco. Quel che c’è di vero è che il giocatore non ha finora rispettato le premesse con le quali era stato acquistato e, probabilmente, il suo profilo non è quanto serve all’Inter in questo momento così come, per le sue caratteristiche, la Serie A non è un palcoscenico adatto.

Arrivato in Italia nel 2011 dal Velez Sarsfield (al costo di 5,5 milioni invece che dei 10 paventati), squadra argentina nella quale militava prima dell’approdo a Milano, il giocatore è stato presentato come centrocampista duttile con spiccate doti offensive, in possesso di un buon dribbling e soprattutto di un ?magico? piede sinistro in grado di poter indifferentemente servire assist al bacio come di concludere efficacemente da fuori area (come dice ancora la sua personale pagina di Wikipedia). Ha fatto il suo esordio coi colori nerazzurri nell’agosto del medesimo 2011, in occasione della Supercoppa italiana persa 2-1 contro il Milan di Ibrahimovic e Thiago Silva, l’esordio in panchina di Gian Piero Gasperini, giocando una partita senza lode né infamia.

Lungo tutto l’arco della prima stagione interista, Ricky Maravilla s?è trovato, coi diversi allenatori che si sono alternati in panchina, a ricoprire più o meno tutti i ruoli del centrocampo, rendendo al meglio e in maniera più continua durante l’ottimo mese di gennaio gestito da Claudio Ranieri, che lo schierava come esterno destro o sinistro; mesi dopo, passato un periodo di appannamento, ha sfoderato di nuovo un?ottima prestazione condita da un gol a Udine sotto la nuova egida di Stramaccioni il 25 aprile 2012 che però è rimasto un acuto isolato in quel finale di stagione tribolata e disgraziata.

In questa stagione non è praticamente mai sceso in campo durante il miglior periodo dell’Inter (durato da metà settembre a inizio novembre), chiuso da Sneijder, Guarìn, Cassano, Palacio e persino Coutinho, colui che Strama considerava, a inizio stagione, l’autentico vice del numero 10 olandese. In compenso, dopo la cessione del trequartista oranje al Galatasaray e del suo giovanissimo alter ego carioca al Liverpool, il numero 11 della Beneamata s?è trovato a essere l’unico fantasista rimasto in rosa e, dunque, ripresosi da un infortunio invernale, ha ricominciato a farsi vedere nel doppio confronto con la Roma di gennaio, facendosi notare soprattutto nei 20? finali del match di coppa Italia. A questi segnali incoraggianti, però, non è seguita alcuna conferma piena: titolare contro il Tottenham in Europa League (prestazione incolore e, anzi, gol divorato a tu per tu con Friedel), con il Milan (sostituito prima della fine e comunque sostanzialmente avulso dalla manovra) e sabato contro la Juventus (impalpabile); l’argentino non ha saputo rispettare le attese, a parte le marcature, nemmeno nelle gare in cui ha timbrato il cartellino, come contro il Catania o nel ritorno col Tottenham (dove peraltro è subentrato dalla panchina).

Da quando è a Milano, Alvarez ha collezionato 50 presenze complessive segnando 5 gol: per un difensore non sarebbe male, ma dopo quasi due intere stagioni, da un centrocampista con ?spiccate qualità offensive? ci si aspetterebbe perlomeno il raggiungimento della doppia cifra… Il pur non trascendentale Sneijder dell’ultimo anno e mezzo in nerazzurro ha comunque totalizzato 7 reti in 36 presenze e persino Coutinho, nei primi sei mesi di quest?anno, ha dal canto suo fatto registrare 3 reti in 19 presenze: una in più di Alvarez giocando però due partite in meno. I numeri sono impietosi: l’acquisto del giocatore albiceleste è stato un fallimento, almeno per quanto visto fin qui.

Lasciando pure perdere la media gol e andando più in profondità ad analizzare l’effettivo rendimento, il discorso addirittura si aggrava: poche prestazioni sufficienti, addirittura episodiche le partite in cui il numero 11 è stato decisivo o comunque meritevole di un voto che andasse dal 6,5 in su. Nessuna traccia del suo ?dribbling letale?, pochissime dimostrazioni della sua ?notevole visione di gioco? e, tragicamente, nessuna rete messa a referto grazie al suo ?potente quanto preciso, magico sinistro?. Sostanzialmente, l’Inter ha trovato in Alvarez una sorta di versione 2.0 di Recoba, il Chino che, comunque, e con tutti i suoi innumerevoli difetti, nel suo primo anno e mezzo al Biscione ha segnato tanto quanto Ricky ma giocando meno della metà delle partite (in più risultando, almeno ogni tanto, decisivo nell’evitare figuracce).

Le prestazioni non all’altezza di Ricky (presunta) Maravilla stanno mettendo alla prova persino i suoi (sempre più esigui) estimatori, i quali, per giustificare la non brillantezza del loro beniamino, si sono sempre appellati, a seconda sei diversi momenti, alla mancanza di continuità di presenze dell’argentino, al suo doversi adattare alla serie A, alla poca fiducia dell’allenatore X nei suoi confronti e all’incertezza dei vari coach sul ruolo da assegnargli in campo col relativo dibattito vivo per mesi: Alvarez visto come esterno d?attacco, trequartista puro, trequartista laterale, interno di centrocampo e chi più ne ha più ne metta.

La verità sul centrocampista argentino è molto semplice: Alvarez è un calciatore piuttosto lento (non necessariamente un male, pensiamo a Pirlo), dotato effettivamente di un buon piede ma un po’ macchinoso nella costruzione e, spesso, dà la sensazione di essere lui stesso il primo a non aver fiducia nei suoi mezzi. Il problema della scarsa autostima del ragazzo pare non risolvibile da alcun mister (hanno fallito con lui Gasperini, Stramaccioni e Ranieri) né dalla fiducia che gli si dimostra inserendolo come titolare in match di cartello come il derby meneghino o la sfida contro la Juventus. Analizzando il rendimento avuto fin qui e ragionando per induzione su quanto ha fatto per adesso, probabilmente, per vedere Alvarez uomo-partita almeno in una decina di partite all’anno, bisognerebbe schierarlo titolare sempre e comunque, sacrificando altri giocatori che, ad oggi, si sono però dimostrati più continui di Ricky, nonostante periodi di appannamento (Guarìn) o qualche prestazione non all’altezza condita da strane bizze (Cassano).

Per capire il clima surreale che circonda il centrocampista argentino è emblematico il trattamento riservato al numero 11 dalla Juventus sabato scorso: mentre Palacio, Cassano, Guarìn o persino Gargano venivano attorniati da un nugolo di magliette bianconere appena entravano in possesso di palla, quando Ricky riceveva la sfera godeva di ottima libertà. Chissà perché? Alvarez, cercando la giusta giocata da effettuare, spesso rallenta la circolazione di palla, ama molto accentrarsi conservando il possesso del pallone (risultando troppo prevedibile), preferisce creare più che lanciarsi e dunque si propone pochissimo negli spazi e, cosa più grave, non è ancora smaliziato a dovere per quanto riguarda la fase difensiva: non mette praticamente mai il piede, non cerca mai il contrasto, gioca troppo poco spesso d?anticipo, torna poco in difesa e, quando decide di provare a rubare un pallone, ogni tanto commette falli stupidi e inutili.

Nelle ultime settimane si rincorrono voci di mercato che vorrebbero l’argentino in via di cessione estiva e, osservando il suo rendimento sul campo, ne si ha ben donde. L’unico, inquietante, dubbio che assale chi ormai non può più soffrire le ?geniali? giocate di Ricardo è: ma chi può volere davvero un 25enne che negli ultimi due anni non ha fatto altro che deludere sistematicamente allenatori e tifosi?