25 Ottobre 2011

Il romanzo di Balotelli, tra veleni e talento

 

La sera di Inter-Barcellona, semifinale di andata della Champions 2009-2010, la gioia degli interisti tocca il cielo: i campioni di tutto escono da San Siro a testa bassa, dopo aver subito tre batoste dalle quali in cuor loro sapevano di non potersi riprendere. I festeggiamenti di quella notte vengono tuttavia macchiati dal gesto orrendo di Balotelli, che beccato dal pubblico a fine partita, scaraventa a terra la maglia della sua squadra, quella squadra che gli aveva dato la possibilità di giocare a livelli stratosferici. Una mancanza di rispetto nei confronti del popolo interista, ma soprattutto verso chi gli stava più vicino in quel momento: compagni di squadra, allenatore e presidente. Moratti definisce quel gesto ?un suicidio?, Mou quasi non ne vuole sentir parlare, i compagni gli fanno intuire che l’ha fatta troppo grossa: furibonda lite con Materazzi e parole (e probabilmente gesti) pesanti da parte dei vari Lucio, Chivu e Milito. Questo è uno degli innumerevoli eventi che fanno di Mario un bad boy, per dirle all’inglese, uno di quelli che non ?cresceranno mai? e che ?si brucerà la carriera intera?. Questo non possiamo saperlo oggi, bisognerà attendere ancora qualche anno. Quello che però sappiamo è che in cuor nostro all’inizio provavamo sempre a comprenderlo, ora non più.

LUI COME POCHI ? Quando sei un ragazzino, cresciuto a pane e pallone, sogni sempre di poter fare del tuo divertimento quotidiano nel campetto che frequenti la tua professione. Ma la vita non va sempre di pari passo con le intenzioni. E, premesso che abitare a cento metri dalla Madonnina o a pochi chilometri dalla spiaggia di Mondello non fa la differenza, anche per questo la storia di Balotelli può essere considerata alla stregua di quei romanzi veristi, in quanto porta con sé il fascino della difficoltà, del ?tutto il mondo contro?. Attrae perché lieto fine di una vicenda umana che poteva terminare sicuramente in malo modo: che si nasca al Nord o al Sud, in una affollata metropoli o in un strada assolata di campagna, se ti chiami Mario Balotelli e hai il vissuto che ti ritrovi (non per causa tua), potrai sempre pensare di essere stato fortunato, ovunque il destino ti porti.

PREDESTINATO ? Il 2 aprile del 2006 il quindicenne Mario fa il suo ingresso in campo in una partita di serie C1 tra Padova e Lumezzane, sua prima vera squadra, e lì inizia la sua fortuna calcistica. Quella umana, invece, risale a circa 14 anni prima, quando i suoi genitori, immigrati ghanesi e da poco trasferitisi in un paese in provincia di Brescia, lo abbandonano in ospedale. Tre anni più tardi il tribunale dei minori lo affida alla famiglia Balotelli, grazie alla quale beneficerà di un cognome e soprattutto di una famiglia. Finita qui la bella storia? No, perché la natura gli ha consegnato in dote un fisico d?acciaio, una forza non da tutti, che col tempo affinerà grazie alla possibilità di allenarsi anche con ragazzi più grandi di lui. Così il piccolo cresce e diventa sempre più forte, tanto da stupire gli emissari del Barcellona, che però non lo ingaggerà per motivi economici. Poi si fa avanti l’Inter, e lì inizia la vera storia del SuperMario che tutti conosciamo. Dal rischio di essere un nulla, alla chance di diventare qualcuno: quasi un film.

INFERNO ? Un film, già. Una pellicola la cui trama diventa col tempo sempre più tribolata. Il problema, infatti, è che oramai, a quattro anni dalla sua pseudo-esplosione, Balotelli è conosciuto più per le sue malefatte che per le prodezze. Di gol Mario non ne ha segnati pochi (44 in 123 partite ufficiali), pur non giocando sempre dall’inizio. Di vittorie, a ormai 21 anni, ne ha fatto incetta: una Coppa dei Campioni, tre scudetti e tre coppe nazionali: forse solo Messi a quell’età aveva vinto così tanto. Ma tra i due c’è una differenza sostanziale. L’uno, la Pulce, ormai è nell’Olimpo per quello che fa in campo, l’altro, l’italiano, ha visitato una buona parte dei gironi infernali danteschi.

CONSAPEVOLEZZA ? Il punto è che se vivi con la cognizione di essere l’uno su un milione dovresti fare di tutto per proteggere con gelosia quello che ottieni, dovresti custodirlo con la convinzione che lasciarsi sfuggire ciò che hai sarebbe la più grande sconfitta della tua vita. E per uno abituato a vincere non dev?essere piacevole perdere. In realtà l’atteggiamento conta molto: la giovane età e lo stare a contatto con chi ha esperienza da vendere dovrebbe innescare un meccanismo di spinta del proprio io verso il miglioramento continuo, mostrando umiltà e voglia di imparare. In Balotelli tutto questo non lo vediamo. Sembra sempre che lui sia lì a fare qualcosa per il quale non impazzisce affatto. Eppure c’è gente che alla soglia dei 40 anni darebbe ancora tutto per giocare ogni singola partita.

ISTINTO ? Se ricerchiamo le cause di questi atteggiamenti, ogni spiegazione risulta plausibile. Ma è assolutamente necessario sottolineare una cosa: nella vita, nel lavoro, negli affetti, non sempre è bene fare ciò che si vuole, ciò che l’istinto ci suggerisce. Non saranno mai soldi, donne, gol, vittorie, coppe a dare licenze di questo tipo. È fuori discussione che la cosa migliore a volte possa non essere fare il giusto, ma sicuramente compiere un qualsiasi gesto senza valutare le possibili conseguenze denota esclusivamente egoismo e mancanza si spirito di sacrificio. Quella sera, a San Siro, l’Inter ottenne una delle vittorie più importanti della sua storia, soprattutto grazie a una mentalità che faceva dell’abnegazione la vera arma in più: l’istinto venne abbandonato da tutti, tranne che da lui.

CATECHISMO INUTILE ? E non c’è catechismo che possa aver migliorato la situazione. Mou ci ha provato, ma è finita con una lite alla Pinetina prima della partita di Londra, in un momento in cui era necessario essere uniti. Mancini, invece, l’ha lanciato in una gara di Coppa Italia, e da quel momento Mario non è più uscito dal calcio che conta. Ora l’ha voluto a Manchester, per provare a fare di lui un campione. A sentir parlare il tecnico di Jesi, abbiamo tutti un?impressione: è l’unico a non essersi mai impegnato in moralismi, l’unico ad averlo punito ma a dimostrare di non essersi mai disinnamorato. Sensazione che forse non abbiamo mai provato con Josè Mourinho. Ora Mario sta crescendo, e siamo sicuri che per adesso non smetterà di far parlare di sé anche per ciò che combina fuori dal campo. Però forse l’appassionato di calcio deve imparare a ignorare. Magari non il tifoso interista, con il quale il feeling sarà difficilmente recuperato, ma l’uomo di sport deve imparare ad amarlo per quello che può dare in campo. Solo per quello, come fa Mancini. Lui sta dimostrando che può ripagare la fiducia, se qualcuno gliene dà. Il tifoso deve imparare a ignorare il suo carattere come lui ignora l’opinione del tifoso. E poi chissà, magari fra una decina d?anni parleremo di Mario come di un grande campione.