3 Novembre 2011

L’amore ai tempi del colera

Se ti svegli una domenica mattina dopo una bruciante sconfitta coi rivali di sempre e se ti sei reso conto che ci sono stati dei problemi ma che sono comunque risolvibili col tempo, non puoi rimanere indifferente nel leggere su un giornale che in quella notte, in cui tu hai dormito e magari anche sognato, c’è stato chi è riuscito a mettere in discussione un amore eterno, proprio quell’amore di cui si avrebbe bisogno in quel momento. Perché chiedere a voce alta al signor Moratti di lasciare il suo posto vuol dire rinnegare il passato recente, ma soprattutto il proprio sentimento verso una fede. Il tifoso medio non sa fare altro che questo: chiudere gli occhi, tappare le orecchio e aprire la bocca. Il tifoso di livello la apre, ma tiene spalancato anche tutto il resto.

RETAGGIO – L’Italia, si sa, è uno dei quei posti enigmatici, una di quelle realtà da cui o non sai mai cosa aspettarti o di cui sai già tutto prima che qualcosa accada. Dipende dalle circostanze, ma siamo strani per questo noi italiani.  Perché è grazie a chi lo popola che il nostro Paese assume più spesso le sembianze talvolta della croce greve e dolorosa, talvolta dell’invitante delizia tutta da gustare piuttosto che del tipico e stereotipato stivale. E’ sempre stato così, in ogni momento del nostro passato, e tutti quelli che qui ci hanno vissuto o che ci sono stati solo di passaggio l’hanno capito molto ma molto presto. Tra questi ovviamente c’è chi ha fatto finta di niente, chi ha continuato ad amare questa terra double-face, chi è scappato di corsa, chi l’ha addirittura rinnegata. Ognuno libero di reagire come ha creduto giusto: e questo è sacrosanto.

QUALCOSA DI IMPRESCINDIBILE – Ma non è delle reazioni a questo “italianismo” che si vuol parlare, bensì di come questo possa essere traslato nello sport e, nel caso specifico, nell’Inter. Jean-Paul Sartre (molti lo conoscono solo perché fu Mourinho a citarlo in conferenza stampa) diceva che il calcio è la cosa più importante delle cose meno importanti, che è metafora della vita; addirittura Albert Camus affermò che al gioco con la palla doveva tutto ciò che sapeva sulla realtà; Pier Paolo Pasolini lo paragonava a una rappresentazione sacra, di quelle che non avrebbero mai visto declino. Beh, quarant’anni dopo siamo ancora qui a parlarne, e siamo sicuri che ne parleranno anche fra altri quaranta. Da tutto ciò si può evincere che le sensazioni che il tifoso di calcio vive sono molto più significative della banale emozione che lo accompagna durante una partita o subito prima o immediatamente dopo di essa. La sua mentalità altro non è che lo specchio riflesso di quella di un uomo che vive in questo mondo e i suoi atteggiamenti sottolineano l’ampia gamma di reazioni agli eventi. Il tifoso-italiano-uomo medio non ha la minima idea di cosa significhi il termine che lo qualifica, ovvero “medio“. Non sa che c’è un mezzo in cui è necessario sapersi dimenare, non capisce o non vuole capire (perché forse così è più comodo e più facile addossare colpe) che prendersela per forza con qualcuno serve a poco. Così quando c’è da festeggiare è sempre pronto a cercare qualcuno da celebrare, quando c’è da puntare il dito è bravissimo a farlo con entrambe le mani.

DESTINO A DUE FACCE – Moratti negli ultimi 15 anni ha sborsato oltre mezzo miliardo di euro per la beneamata. Tantissimi, forse troppi, e questo denota anche tutti gli errori che indubbiamente sono stati fatti nel tempo. Ma un bel giorno la ruota ha cominciato a girare per il verso giusto, e da allora le entrate sono state parecchie, in termini di vittorie, parole dolci, miele, orgoglio: tutto il passato fu cancellato, perché ormai quella fatidica ruota aveva preso la strada tanto agognata. Ora che il sentiero è in salita, però, non riesce più a girare in maniera scorrevole. Si fatica, si arranca, e allora torna a galla quel passato fatto di bile e critiche. Qui nessuno vuole difendere l’operato di nessuno: se oggi si piange il freddo dei meno undici in classifica o si rischia la vita su ogni contropiede avversario, la colpa è tanto dei ragazzi che scendono in campo quanto di Moratti&soci che non hanno saputo dare continuità a ciò che di buono era stato costruito negli anni di Mancini e Mourinho (vedi, per esempio, l’allontanamento di Oriali e qualche discutibile operazione di mercato). Ma è categoricamente fuori luogo non riconoscere che qualsiasi cosa, positiva o negativa, imputabile alla persona di Massimo Moratti sia stata il frutto di una passione che ha radici tanto lontane quanto robuste, della volontà di chiudere il cerchio che il tempo aveva lasciato aperto quarant’anni fa, quando papà Angelo decise di mollare.

CROCE PER DELIZIA? – Sarà stato un errore agli occhi di molti, ma quel cerchio il patron non l’ha mai considerato chiuso e, siamo sicuri, non lo giudica tale nemmeno adesso, dopo tutte le vittorie che sono arrivate in questi anni. E anche se ora non è una vera e propria delizia, non bisogna scambiarlo per la croce. Farlo implicherebbe il ripudio di un sogno, di quel sogno che il tifoso interista ha vissuto per anni e anni, quando tutti si ricordavano il pianto di Ronaldo o le vittorie altrui. Ma dopo tutto l’uomo di oggi vive in un alone di negatività che lo affossa e che non favorisce l’onestà intellettuale, e questo vale anche per il calcio. Qui in Italia gli uomini-tifosi medi sono sicuramente più di quelli di livello, ecco perché è molto più facile trovare chi dà ascolto alla pancia e non ai sogni. E il troppo amore viene confuso col pericolo. Un dubbio però ce l’abbiamo. Quelle proteste sono arrivate prima di andare a letto: chissà se quelle persone hanno sognato quella notte e chissà cosa hanno sognato, se la Coppa dalle grandi orecchie nel cielo di Madrid o le lacrime amare di quasi dieci anni fa…