12 Ottobre 2011

Mourinho, primo tifoso o allenatore eterno?

?Un amore,qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla?. Così scrive Cesare Pavese ne ?Il mestiere di vivere?, suo diario spirituale. E quella tra l’Inter e Mourinho è senz?altro una storia d?amore meravigliosa fatta di momenti di estasi fisica e mentale. Ma ogni amore porta con sè anche sentimenti differenti, negativi, oscuri, a volte patologici, specialmente durante una fase: quella dell’addio. Il campo delle emozioni umane è caratterizzato da un perdurante ?horror vacui? e dunque, quando tutto finisce, spesso non si riesce a superare il trauma trascinando così se stessi in un deleterio stato di dipendenza affettiva. É stato affermato spesso infatti che le ragioni degli insuccessi interisti recenti andrebbero ricercate proprio nell’incapacità dei due amanti – l’Inter e Josè ? di dimenticarsi a vicenda. Tre sono state le tappe di questo allontanamento finora, ed è appena iniziata la quarta. L’amore annebbia la vista e la capacità d?analisi: nonostante ciò proviamo a ripercorrere con voi i momenti post separazione cercando di capire quanto Mourinho ha continuato a incidere anche dopo il suo addio.

LO SPASIMANTE SPAGNOLO– Il primo chiamato a consolare la vedova Inter è uno spagnolo di Madrid, Rafael Benitez. Arriva ad Appiano mentre Mourinho ha appena completato la sua profana Ascensione al cielo delle divinità nerazzurre. I due hanno avuto contrasti già durante la loro esperienza in Premier League, pertanto quella della società sembra più una scelta di rottura. I media applaudono e disegnano l’Inter come una società moderna ormai scevra del suo passato e delle sue debolezze. Il curriculum dell’ ex allenatore del Valencia convince la maggior parte degli addetti ai lavori e la sua fama di docente di calcio lo precede. Arriva il giorno della conferenza stampa di presentazione dello spagnolo e il taglio col passato si fa evidente: scompaiono provocazioni,carisma, sicurezza e arroganza mentre fanno il loro ingresso sorrisi, tranquillità e brindisi con i cronisti. Ma dietro il faccione da bonaccione Rafa cela una inestinguibile insofferenza nei confronti del portoghese e tenta di eliminare i segni indelebili del suo passaggio. E? fatica sprecata: non basta eliminare le foto e i poster di Josè che campeggiano alla Pinetina e imporsi come un sergente di ferro. Il vis à vis con la squadra lo condanna e Mourinho poco dopo in un?intervista al Sunday Times lo ?maledice? con una intervista pesantissima: ? Una cosa è sicura: non può fare meglio di me. Nessuna possibilità. E c’ è un’ altra cosa sicura: se vincerà l’ Intercontinentale lo farà imponendosi in 2 partite, io ne ho superate 13. Quindi in caso sarà la mia Intercontinentale, non la sua. E lo stesso vale per la Supercoppa Europea: è la mia Supercoppa Europea, non la sua. Io non ho bisogno di foto per amare le persone. Il mio portafoglio non è pieno di foto dei miei cari, e nemmeno la mia scrivania. Le persone che amo le porto nel cuore. Quando ero all’ Inter ho tenuto le foto di Herrera e di Mancini, per me non era un problema. Così come non è un problema il fatto che a Benitez non piacciano le mie foto. La gente dell’ Inter mi ricorda e continua ad avere un gran rapporto con me, non hanno bisogno di foto?. E conclude con una velenosissima dichiarazione: ? Gli auguro di avere successo. Non perché gli voglio bene, infatti non gliene voglio, ma perché è   l’allenatore della mia squadra, dell’ Inter, dei tifosi, del presidente Moratti ?. I buoni propositi di Benitez naufragano prima nella triste serata della sconfitta con l’Atletico in Supercoppa e poi in un mare di infortuni. Silurato dai giocatori, dalle sconfitte e dalle flebili difese di Moratti lo spagnolo si avvia a un  declino logorante: l’Inter diventa campione del mondo per club vincendo due partite di irrisoria difficoltà ma, conclusa la pratica, Rafa si auto-esonera lanciando in ogni direzione attacchi e accuse che non possono cadere nel vuoto. Il feeling tra l’Inter e il suo allenatore probabilmente non era mai nato anche a causa del pessimo rapporto tra il portoghese e Benitez; ma a trasformare Mou in una ossessione da combattere ci aveva pensato proprio Rafa…

IL CAVALIERE BRASILIANO – Con il fallimento della soluzione di rottura non resta che proporre  quella della continuità, una continuità , a dire il vero, più ideale che reale. Sul trono interista si siede Leonardo Nascimento de Araujo, grande ammiratore dello Special One. E? come se dopo anni di regno di Josè si sedesse sullo scranno uno dei suoi cavalieri più fedeli. A dir la verità il cavaliere in questione non è proprio nativo del regno, viene da una contea rivale non molto lontana che l’ha ripudiato nonostante i numerosi anni spesi dal nostro a combattere per essa. L’indimenticato sovrano benedice il suo cavaliere che di rimando non fa altro che ricordarlo come ?un fuoriclasse spiritualmente ancora presente? nel maniero nerazzurro. I sudditi cominciano ad amare il nuovo regnante e l’esercito ricomincia a combattere e a vincere. I punti di forza di re Leonardo sono la modestia e le grandi capacità motivazionali; e mentre in apparenza sembra semplicemente assecondare la voglia e le potenzialità dei suoi combattenti pian piano in realtà diventa il protagonista assoluto della rinascita restituendo loro la coscienza delle gloriose imprese passate. La cavalcata è esaltante e i nemici cadono uno dopo l’altro. A volte però i momenti critici non possono essere superati solo con coraggio e cuore, sono necessarie anche astuzia e saggezza. Non tutti i cavalieri possono essere ottimi re, e purtroppo per noi nelle due battaglie decisive ( Shalke e Milan) la mancanza delle ultime due qualità sarà fatale a Leonardo. L’incantesimo va in pezzi nonostante la ritirata porti con sè un premio di consolazione: poco dopo il re abdica mestamente, confuso e attratto da cariche prive di tutte quelle responsabilità che l’ascesa gli aveva portato. Ancora una volta si torna a parlare delle colpe di Josè e della sua capacità di continuare a incidere a distanza sul mondo nerazzurro. Ma il portoghese non ha colpe se non quella di essere molto più bravo di quel suo figlio adottivo che la società si è trovata costretta a scegliere.

Il resto è storia recente: il capitolo Gasperini rappresenta una situazione a sè, un cortocircuito delle dinamiche societarie nerazzurre, una scelta sbagliata in tutto e per tutto.

Il confronto con il passato si riaffaccia però di nuovo con la realtà odierna. Sulla nostra panchina è seduto di nuovo un nemico del passato, mediaticamente parlando. Ecco, mediaticamente parlando. La nostra speranza è che si sia giunti finalmente a una nuova visione delle cose, una visione capace di non disconoscere il passato pur separandosene. A Claudio Ranieri è affidato quindi il compito di trasformare insormontabili conflitti ideologici in mere liti dialettiche, cercando di condire questo piatto anche con un pizzico di preparazione e comprensione. Perchè in fondo l’amore vero, come quello per la nostra squadra, non può avere nulla di patologico. Capito, Claudio?