14 Maggio 2020

Accadde Oggi – 14 maggio 2006: finisce il campionato nero del calcio italiano (vinto dall’Inter). Uno Scudetto legittimo, altro che cartone!

Ecco perché ipotizzare nuove assegnazioni di quel titolo non ha alcun senso

Occorre separare i fatti dalle opinioni, come si dice. Ma a parlare di Calciopoli – per l’ennesima volta – c’è sempre il pericolo di finire per mettere in mezzo le opinioni: e quindi ecco, cominciamo dai fatti. I fatti parlano di un’Inter vincitrice della Serie A 2005-2006 con 76 punti: e parlano, poi, sempre i fatti, di un Milan terzo in classifica con 58 punti (e 30 di penalizzazione), di una Fiorentina nona in classifica con 44 punti (e 30 di penalizzazione) e, come sempre, di tre retrocesse: Lecce (29 punti), Treviso (21 punti) e Juventus, punti novantuno. Tocca riesumare oggi le vicende di un campionato – almeno sulla carta – morto e sepolto, perché è proprio oggi che, quattordici anni fa, si concludeva il torneo che si credeva stravinto dalla Juventus – e conteso, al massimo, dal Milan – e che, invece, finì in mano all’Inter.

Uno Scudetto, quello dell’Inter – oggi lo possiamo dire – totalmente legittimo: e per dimostrarlo basterebbe andarsi a prendere tutta la consolidata giurisprudenza che, dal 2011 sino a pochi mesi fa, non ha fatto altro che confermare che quel titolo di Serie A non poteva essere assegnato che all’Inter. Nel 2011, appunto, il procuratore federale Stefano Palazzi – a margine della famosa prescrizione della società nerazzurra nell’inchiesta Calciopoli-bis”, di cui ci occuperemo più avanti – aveva già fatto sapere che, per via disciplinare, lo Scudetto assegnato all’Inter non poteva essere revocato: il potere di revoca, infatti, spettava solo al Consiglio Federale che di lì a pochi giorni si sarebbe riunito, e che avrebbe deliberato – tu guarda – proprio per la non-revoca del titolo all’Inter. Dopodiché, dal pronunciamento di Palazzi sarebbero seguiti, negli anni, tutti i numerosi ricorsi da parte della Juventus per riavere il titolo: ultimo in ordine cronologico quello del 27 settembre 2019, respinto in due istanze dal Collegio di Garanzia del CONI (la Cassazione della giustizia sportiva), nel novembre 2019 e nel gennaio 2020.

Parentesi: la risposta alla domanda su quando potremo cominciare, finalmente, a occuparci di Calciopoli come una vicenda giudiziaria passata in giudicato anche agli occhi dell’opinione pubblica, forse, è tutta qui: e risiede nel fatto che – a quattordici anni dallo scoppio dell’inchiesta – vi siano ancora ricorsi e battaglie giudiziarie tra due società (nella fattispecie, Juventus e Inter) che si presentano ai consessi della Federazione, della Lega e dell’ECA nelle vesti di quasi-amici mentre, dietro le quinte, mettono in moto avvocati per contendersi campionati che non solo diversi tribunali, ma addirittura la Storia ha ormai consegnato indiscutibilmente a una delle due. Questo senza menzionare le guerre di comunicati stampa (si veda l’antologica nota dell’Inter sulla “Juventus retrocessa in B con la sua reputazione”, 24 ottobre 2014) e di like di Agnelli ai tweet anti-interisti (col presidente della Juve che, mesi fa, mise “mi piace” al tweet di un tifoso bianconero che, in merito alla possibile assegnazione dello Scudetto di quest’anno alla Juventus per il coronavirus, scrisse “Non vogliamo vincere così, non siamo l’Inter”).

Forse, più che la fine dei ricorsi in tribunale, sarà necessario aspettare la fine di una generazione: anche se, tutto sommato, lo Scudetto del 2006 nell’immaginario collettivo rimarrà sempre quello “di cartone”, quello dei “prescritti” eccetera. Appellativi, questi, affibbiati all’Inter dopo la prescrizione che nel 2011 mise fine ai tentativi di riaprire una vicenda già chiusa, ma che alimentarono le fantasie giustizialiste di chi, semplicemente, non ce la faceva a vedere l’immagine di un’Inter rimasta illesa rispetto a uno scandalo relativo all’intero calcio italiano: anche a costo di scomodare gente già morta e telefonate qualificate come spazzatura dai processi precedenti. Riepiloghiamo, anche qui, i fatti: dopo i processi sportivo e penale di Calciopoli – entrambi passati in cosa giudicata – il procuratore federale Palazzi provò a riesumare alcune intercettazioni presuntamente compromettenti nei confronti dell’Inter (quelle famose di Facchetti) che, tuttavia, non erano finite nel processo sportivo e nemmeno in ben tre gradi di giustizia ordinaria. Sulla base del riutilizzo delle bobine relative a Facchetti, l’idea era quella di impostare un processo “Calciopoli-bis”, con tempi verosimilmente brevi esattamente come il processo sportivo di Calciopoli: questo con l’unico scopo – ipocritamente mascherato con vicende annesse e connesse – di condannare l’Inter. Ma la vicenda si archivierà, come noto, con la prescrizione: ciò che concesse, a qualcuno, di coniare, per i nerazzurri, il termine Prescrittese, e, nella sostanza, poco altro. Sia il procuratore Palazzi che il presidente della FIGC di allora, Giancarlo Abete, ebbero a chiedere a Moratti perché non avesse rinunciato alla prescrizione per lui e per l’Inter. La domanda, piuttosto, è perché, se disponesse davvero di prove così schiaccianti, la Procura Federale non sia mai riuscita a condannare l’Inter.

Quali prove? Quelle che, secondo alcuni, sarebbero contenute nelle motivazioni della sentenza che prescriveva le condotte contestate all’Inter. Palazzi, nei suoi verbali, parlava infatti di “condotte (…) certamente dirette ad assicurare un vantaggio in classifica in favore della società Internazionale FC”, dell’“esistenza di una rete consolidata di rapporti”, “stabili e protratti nel tempo”, “fra i designatori arbitrali Paolo Bergamo e Pierluigi Pairetto (ma anche, sia pur in forma minore, con altri esponenti del settore arbitrale) ed il Presidente dell’Inter, Giacinto Facchetti”, tutte cose, queste, estrinsecatesi con una “frequente corrispondenza telefonica fra i soggetti menzionati (…) in corrispondenza delle gare”. Facchetti, in definitiva, si poneva “quale interlocutore privilegiato nei confronti dei designatori arbitrali” al fine di perpetrare chissà quali attività criminali. Una versione, questa, che non tiene conto del fatto che con Paolo Bergamo – all’epoca designatore insieme a Pairetto – parlassero tutti i dirigenti di Serie A, che Facchetti sia sempre stato uno tra i presidenti più ingenui nei rapporti con Bergamo e che, Facchetti, per contattare Bergamo, non abbia mai usato le schede svizzere che, al contrario, altri dirigenti erano soliti utilizzare.

Insomma: i fatti, dicevamo. In mano abbiamo uno sterminio di sentenze: processo sportivo, processo penale e ricorsi sullo Scudetto. Tutti procedimenti per cui i gradi di giudizio sono ormai finiti, e che hanno disvelato delle verità. Dall’altra parte, abbiamo gente che – mentre conteggia impunemente nel proprio palmarès Scudetti in soprannumero – avrebbe voluto usare intercettazioni palesemente inutilizzabili per ristabilire una giustizia già stabilita nelle puntate precedenti. Questi i fatti, ora il lettore si faccia le sue opinioni.

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